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La riqualificazione innovativa e virtuosa: il progetto del Km Verde di Guendalina Salimei

15 settembre 2020

La riqualificazione del patrimonio edilizio delle periferie urbane può costituire l’occasione per ripensare l’abitare moderno, anche in vista delle nuove necessità emerse a seguito del lockdown. E la trasformazione non può che avvenire attraverso strumenti progettuali innovativi che, alla base, pongano valori come l’identità collettiva, la condivisione e l’integrazione degli elementi naturali nel costruito. Su questo tema abbiamo intervistato l’architetto Guendalina Salimei che, con il progetto del suo Km Verde al Corviale, propone un’architettura sostenibile a vari livelli.


Di Nora Santonastaso

 


Esigenze private e di vita collettiva condivisa possono essere integrate nel progetto dell’abitare futuro
© Foto: T-Studio

 

Architetto Salimei, pensa che il progetto del Km Verde al Corviale possa essere studiato sotto una luce nuova, ora che l'emergenza sanitaria sembra prefigurare necessità abitative specifiche, finora inesplorate? Quali aspetti del progetto potrebbero essere considerati pilota per nuovi sviluppi, anche in contesti diversi?

 

Il ripensamento dei quartieri periferici costruiti a partire dagli anni ’50 fino agli anni ’80 può diventare l’occasione per progettare le città del futuro. Demolirli è uno spreco inutile: sono costati molti soldi pubblici per cui possono e devono essere recuperati.  temi di studio e riprogettazione sono numerosi, ma qui possiamo ricordarne due: da un lato, il tema della condivisione di spazi e attività che costituiscono degli ampliamenti della dimensione domestica degli alloggi; dall’altro, gli interventi condotti su questi grandi complessi possiedono una potenza rigenerativa capace di ripercuotersi sulle porzioni di città circostante, innescando dei processi virtuosi di rinnovamento estesi e sempre condivisi.

 

In particolare, il primo tema rappresenta uno dei nodi fondanti del progetto del Km Verde al Corviale: il ripristino delle aree comuni oggi occupate da residenze abusive e la loro restituzione a tutti i residenti, perché l’abitare condiviso è uno dei paradigmi abitativi del futuro. In particolare, le cinque sale condominiali, che sono già destinate a nuovi usi specifici, possono essere attrezzate per lo smart working, lo sport indoor e altre attività che non si possono svolgere all’interno degli appartamenti né, in caso di lockdown, all’esterno.

 

A differenza del co-housing, con questa soluzione è possibile unire esigenze private di intimità e isolamento a necessità collettive del vivere sociale. In futuro si potrebbero recuperare altri spazi e trasformarli in nuove residenze destinate a studenti, artisti e anziani, personalizzandole e assecondando le nuove esigenze abitative della società contemporanea che non è più composta solo da famiglie numerose come sessant’anni fa e per la quale la necessità di alloggi con affitti calmierati non è più requisito solo della fascia popolare.

 

Queste strategie possono di sicuro essere estese anche ad altre realtà mega-strutturali periferiche, la cui più grande potenzialità risiede nella possibilità di sfruttare per adeguamenti, ampliamenti o nuovi alloggi, le cubature residue ovvero volumetrie approvate nella concessione edilizia ma mai realizzate.

 


L’importanza della valorizzazione dell’identità collettiva come strumento anti-degrado
© Foto: T-Studio

 

La vicinidad, ovvero lo spazio di relazione concretizzato in quello architettonico dell'abitare condiviso, può essere considerato un punto di partenza per ripensare il significato di edificio residenziale, da insieme di nuclei privati a sistema complesso e multiforme? Si può pensare a un lockdown esteso alla dimensione virtuosa di una comunità?

 

La vicinidad è il primo requisito affinché gli abitanti del Corviale e, in maniera più estesa, di tutte le periferie complesse, inizino a non sentirsi più vittime o relegati ai margini ma, al contrario, membri di una comunità dotata di una propria identità collettiva degna di occupare il proprio posto nel mondo e di vivere in luoghi in cui il degrado non sia più un’opzione. L’acquisizione di questa consapevolezza permetterà anche lo sviluppo di un desiderio condiviso di bello, di cura del bene comune, primo passo per una manutenzione dal basso che permetterà alle strutture non solo di sopravvivere nel tempo ma anche di arricchirsi dell’apporto di ciascun abitante, così che questi possa sentirsi sempre più artefice dello spazio che abita.

 


Gli elementi naturali, nel progetto del Km Verde, trovano spazio nel costruito integrandosi armoniosamente con l’architettura
© Foto: T-Studio

 

Quale ruolo può svolgere l'inserto naturale in un contesto edificato? Può il verde essere considerato uno strumento efficace di positività anche quando tutto sembra non andare bene?

 

L’utilizzo degli elementi naturali e dei patii integrati in vari modi nel sistema del costruito rappresenta una risorsa interessante per l’architettura e, inserito all’interno di un sistema integrato oltre la costruzione e la tecnologia, può essere una risorsa insostituibile per l’architettura. Non solo può contribuire nel potenziamento delle soluzione tecniche (ad esempio può calibrare l’ombreggiamento, migliorare la qualità dell’aria in entrata soprattutto in inserimenti urbani ad alta esposizione agli inquinanti - smog, gas di scarico industriali ecc.; può migliorare il comfort termo igrometrico del fabbricato e diminuirne il fabbisogno energetico) ma può anche caratterizzare delle architetture in cui i limiti economici di realizzazione hanno determinato scelte formali rigide - e, per certi versi, respingenti - arricchendo di nuovi contenuti formali ed estetici la progettazione vera e propria non solo degli edifici ma anche di parti di città.

 

La riqualificazione innovativa e virtuosa: il progetto del Km Verde di Guendalina Salimei
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