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Il tempo fermo dell’architettura in solitaria

6 febbraio 2024

Aperta fino al prossimo 5 maggio, la mostra Architetture inabitabili alla Centrale Montemartini a Roma interpreta il significato dell’architettura spogliata della sua utilità e della sua funzionalità, elevando la percezione a un grado emozionale ed evocativo.

 

di Nora Santonastaso

 

La Centrale Montemartini è una delle mete preferite dei miei tour a tema turista in casa propria. Situata lungo via Ostiense, a pochi metri dall’oro lucente della Basilica di San Paolo, dal nuovo Rettorato di Roma Tre di Mario Cucinella Architects e dai mille e più luoghi di ristoro che, negli ultimi anni, hanno popolato il quartiere, contribuendo alla sua riqualificazione, combina in perfetto equilibrio arte antica e recupero industriale.

 


Uno degli spazi interni della Centrale Montemartini a Roma. Foto © Jean-Pierre Dalbéra

 

I cinefili più appassionati conoscono la Centrale anche come location delle prime scene di quelle Fate ignoranti che Ferzan Ozpetek ambienta per lo più proprio nel quartiere Ostiense. La terrazza delle tante cene raccontate nel film è infatti quella di Industrie Fluviali, spazio poliedrico aperto a realtà creative e dinamiche con affaccio sul Gazometro e sul fiume.

 

Nessuno spazio espositivo avrebbe potuto accogliere meglio un’interessante mostra che ho avuto l’occasione di visitare qualche giorno fa, complice anche l’iniziativa promossa dal Comune di Roma che rende accessibili gratuitamente, ogni prima domenica del mese, musei, parchi archeologici e luoghi della cultura statali. Questa agevolazione può fare la differenza se, come me, vi accompagnano spesso, nelle vostre visite itineranti, più membri della famiglia o più di qualche amico.

 


La copertina del catalogo della mostra Architetture inabitabili. Foto © Marsilio


La mostra si chiama Architetture inabitabili e resterà aperta fino al prossimo 5 maggio. Avete quindi tutto il tempo di programmare una visita, cogliendo l’occasione di tornare - o di scoprire per la prima volta - gli spazi della Centrale Montemartini. Lasciano a bocca aperta ogni volta.

 

Ma torniamo a parlare della mostra. Perché quell’inabitabili che, forse, può sembrare estraneo e lontano dal concetto di un’architettura che, invece, ha il compito primario di accogliere, ospitare e far svolgere al meglio, al proprio interno, le funzioni e le attività della nostra vita di ogni giorno?

 

Il motivo risiede nell’indagine stessa che, a monte della selezione di architetture in mostra, ricerca in loro un significato che vada al di là del rapporto con l’uomo e con la sua presenza attiva nello spazio, responsabile di modifiche, integrazioni, trasformazioni nel corso del tempo.

 

Le Architetture inabitabili permangono in una sorta di tempo fermo, che racchiude fascino e suggerisce interpretazioni al di là dei confini tradizionalmente associati all’idea di spazio ed edificio.

 


Il campanile semisommerso di Curon in Trentino - Alto Adige. Foto © Silvia Camporesi


Questa apparente immobilità, però, è ben lontana dall’evocare accezioni di monumentalità e inutilità, e racconta invece storie insolitamente poetiche ed emotive. Se infatti le architettura in mostra sono inabitabili, vuol dire che lo sono oggi; in passato, invece, queste stesse architetture sono state oggetto di un fluire di vita e trasformazione che, a volte, non ha riguardato solo il processo di realizzazione - inteso come insieme di progettazione e costruzione -, ma anche un uso antico, denso di gesti e contenuto.

 

La mostra alla Centrale Montemartini, curata da Chiara Sbarigia con Dario Dalla Lana, è costruita con una lunga serie di meravigliose fotografie - alcune storiche, alcune dei giorni nostri; queste ultime firmate da Silvia Camporesi e Francesco Jodice - e con alcuni contributi video tratti dall’Archivio storico dell’Istituto Luce.

 


Il Gazometro in uno scatto d’epoca. Foto © Archivio Storico dell’Istituto Luce


Le Architetture inabitabili sono otto e, tra queste, ho scelto le mie due preferite. Non ve le svelo, per non influenzare il giudizio una volta che sarete in visita alla mostra. C’è comunque l’imbarazzo della scelta tra il Gazometro - di cui abbiamo già parlato qualche riga fa -, il Memoriale Brion di Carlo Scarpa ad Altivole, il campanile semisommerso di Curon in Trentino - Alto Adige, il Cretto di Gibellina - l’opera di Alberto Burri che commemora il terremoto del Belice del 1968 -, gli Ex Seccatoi di Città di Castello, la Torre Branca di Giò Ponti a Milano e, infine, i Palmenti di Petragalla.

 

Buona visita!

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