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Una volta a Roma c’era il mare - Intervista con Luca Catalano, architetto paesaggista

23 maggio 2024

Luca Catalano ci racconta le specificità della sua professione in relazione a una visione del paesaggio come organismo in continua trasformazione ed evoluzione.

 

di Nora Santonastaso 



Il prossimo 12 e 13 giugno ARCHITECT@WORK porterà alla Fiera di Roma un’accurata selezione di proposte innovative per il settore dell’architettura, dell’edilizia e dell’interior design. A corredo dell’evento espositivo sono in programma una serie di talk e seminari i cui contenuti saranno incentrati sul tema Fab Futures: un nuovo approccio alla sostenibilità, non più vista come mero meccanismo di tutela rispetto al consumo delle risorse naturali, ma come occasione di ripensare, in un’ottica completamente nuova, i processi sottesi alla progettazione, alla realizzazione e alla manutenzione dei manufatti d’architettura.

 

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Tra i relatori che animeranno il palco di ARCHITECT@WORK Roma 2024 c’è Luca Catalano, architetto paesaggista e founder, con Massimo Acito, dello studio di progettazione OSA. Abbiamo intervistato Luca sui temi della progettazione del paesaggio e su uno dei suoi ultimi interventi: gli spazi aperti e le sistemazioni esterne del Camplus San Pietro, nell’ambito del progetto di valorizzazione firmato dallo studio Roselli Architetti; ovvero tutte le porzioni dell’area di intervento sulle quali cade la pioggia, dice Luca.

 


Luca Catalano, founder dello studio OSA con Massimo Acito, si è occupato della progettazione degli spazi esterni del Camplus San Pietro.
© Luigi Filetici via Roselli Architetti

Luca, raccontaci questa tua ultima esperienza progettuale. Come si inquadra questa attività nell’ambito più ampio di un intervento di architettura?

 

L’intero processo progettuale, ovvero parte architettonica e competenze paesaggistiche, ha coperto un periodo di sette anni, tre dei quali hanno riguardato la sola realizzazione di quanto previsto in progetto. La collaborazione con lo studio Roselli è stata particolarmente stimolante e produttiva, perché i vari step di lavoro sono stati improntati fin dall’inizio alla collaborazione e al coordinamento e questo ha portato a una realizzazione equilibrata e integrata nei suoi diversi apporti. Il paesaggio è letteralmente un campo aperto dove si incontrano, raccolgono e scambiano molte discipline e professionalità.

 


Progetto per un Nuovo Parco Urbano a Viterbo
© OSA


Quali sono le specificità del percorso progettuale incentrato sul paesaggio?


Il paesaggio, a differenza dell’architettura, deve essere considerato più un organismo che un corpo inerte; è un qualcosa in continua trasformazione ed evoluzione, non sempre inquadrabile e misurabile attraverso la definizione di regole e fattori stabili e fissi nel tempo. La progettazione del paesaggio, quindi, deve essere immaginata come un percorso in continuo divenire, mai compiuta, un progressivo scambio di relazioni tra le parti, dove variabilità e imprevedibilità sono alla base delle regole del gioco. Siamo in un ambito che spesso disattende certezze, prevedibilità, misurabilità, affidabilità, mostrandosi, per così dire, più affine alla aleatorietà dei sistemi con molte variabili. Quello che conta è innescare i processi per poi lasciarli sviluppare in autonomia anche ammettendo l’imprevedibilità dei risultati.

 

Com’è essere un architetto paesaggista a Roma?


Roma è una città speciale sotto molti punti di vista. Si dimostra, più di molte altre, refrattaria, resistente al cambiamento. Certamente ciò discende dalla sua storia pluristratificata ma anche dalle ragioni culturali e politiche che l’hanno da sempre caratterizzata. Una città reazionaria, antica, spesso stanca, con lo sguardo più rivolto al passato, indisciplinata al cambiamento. Eppure se misuriamo il cambiamento in termini geologici, Roma è una neonata e il mare, qui, ha vissuto milioni di volte il suo tempo. Quello che spesso mi diverte fare come progettista è mettere in crisi la convinzione che è tutto eterno. Come diceva Luigi Ghirri, preferisco alla luce eterna una luce festosamente provvisoria. In fondo la chiave di tutto sta nell’interpretazione e nel racconto del cambiamento, dell’evoluzione che siamo disposti a fare.

 


Progetto  per il recupero paesaggistico degli spazi aperti della Casina Sportiva sul Lungotevere Flaminio
© OSA


Consiglieresti a un giovane che si affaccia al mondo dell’architettura e dell’urbanistica di intraprendere una professione come la tua? Quali sono i risvolti positivi e i motivi che possono caricarla di passione ed entusiasmo?


Certo che lo consiglierei! Il mio lavoro permette di interagire con specialisti del settore biologico e di considerare elementi, in un certo senso poetici, distinti da qualità come la caducità, la temporalità / temporaneità, l’imprevedibilità, l’incompiutezza. Un altro tema bellissimo suscettibile di progettazione e interpretazione è la geografia scalare, multitemporale. Chi fa paesaggio gode del privilegio di attraversare varie scale, da quella geografica, territoriale, a quella urbana e di dettaglio. Può inoltre ripercorrere periodi temporali che non appartengono solo alla storia degli ultimi tremila anni, ma alla geologia, ed essere consapevole che appunto, una volta, a Roma c’era il mare.

 

D’altra parte so che, considerati insieme, questi elementi di indefinitezza, sfuggevolezza, incompiutezza e mancanza parziale di controllo possono spaventare e allontanare. Chi progetta il paesaggio deve possedere una forte propensione alla temporaneità e lavorare considerando che un organismo - il paesaggio - non si compie mai, ma evolve continuamente fino, in ultimo, a morire per ricominciare. Il lavoro del paesaggista è dunque molto legato all’innesco del processo e non conosce mai fino in fondo quale sarà l’ordinamento e l’accadimento finale delle cose, perché in fondo le cose - tutte le cose - sono festosamente provvisorie.

 

Luca, conoscevi già ARCHITECT@WORK prima che ti fosse proposto di partecipare all’edizione 2024 a Roma come relatore? Cosa pensi della manifestazione?


Sì, certo, conoscevo già la manifestazione e il suo format specifico. Di questo apprezzo il fatto che, nel contesto espositivo, venga dato spazio alla narrazione del prodotto. Quest’ultimo non viene infatti solo venduto, ma raccontato nei suoi valori anche più nascosti, ovvero quelli sociali, economici, politici. Chi presenta un prodotto ad ARCHITECT@WORK è, di fatto, un narratore ed è dunque responsabile della modalità attraverso la quale il pubblico di settore può conoscere il prodotto stesso, sviluppare un pensiero critico intorno a esso e prefigurarlo in uno scenario futuro di applicazione e progettazione.

 

Potete ascoltare il racconto del progetto del Camplus San Pietro e conoscere Luca Catalano nel corso della prossima edizione di ARCHITECT@WORK Roma il 12 e 13 giugno 2024 alla Fiera di Roma. Vi aspettiamo.

 

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